Nuova mielina per preservare una memoria

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 15 febbraio 2020.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La ricerca sui meccanismi cellulari e molecolari della memoria ha caratterizzato oltre mezzo secolo di studi neurobiologici, e ha consentito di acquisire conoscenze fondamentali e paradigmatiche per comprendere come possano neuroni di un organismo semplice o di un circuito del cervello umano conservare traccia di un’esperienza. I meccanismi molecolari della memoria a breve termine e a lungo termine, che abbiamo trattato di recente, oltre a chiarire i vari modi in cui il segnale può essere elaborato, hanno consentito di comprendere le basi biologiche del più importante adattamento all’ambiente, ossia quello mediato dal sistema nervoso.

Le indagini sperimentali sui sistemi neuronici, e particolarmente su quelli del cervello dei mammiferi, hanno però rivelato l’insufficienza dei meccanismi molecolari e cellulari fino a oggi chiariti per spiegare tutti i cambiamenti indotti dall’esperienza. Una pista particolarmente interessante e di grande attualità nella ricerca è costituita dalla produzione di nuova mielina per effetto dell’esperienza: è stato ipotizzato che la formazione de novo di rivestimento per i neuroni centrali, da parte di oligodendrociti specificamente reclutati, possa modellare la funzione dei circuiti, determinando conseguenze comportamentali misurabili.

Lavorando su questa ipotesi, Simon Pan e colleghi hanno seguito il destino di precursori dell’oligodendroglia, attivati da un paradigma sperimentale per la memoria della paura, nella corteccia prefrontale mediale del topo. I risultati dello studio sono di notevole interesse.

(Pan S., et al. Preservation of a remote fear memory requires new myelin formation. Nature Neuroscience – Epub ahead of print https://doi.org/10.1038/s41593-019-0582-1, 2020).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neurology, University of California, San Francisco, San Francisco CA (USA); Department of Psychiatry, Neuroscience of Graduate Program, Medical Scientist Training Program, University of California, San Francisco, San Francisco CA (USA); Kavli Institute for fundamental Neuroscience, University of California, San Francisco, San Francisco CA (USA); Center for Integrative Neuroscience, University of California, San Francisco, San Francisco CA (USA).

Gerald Edelman soleva spesso ripetere che “La memoria è una caratteristica di sistema e riflette la natura stessa di ciascun sistema”. Il sistema del DNA è la memoria molecolare per eccellenza di un organismo, e al DNA gli studi riduzionisti sulle basi molecolari della memoria riconducono in ogni caso; tuttavia, è evidente che ogni livello di osservazione ha la sua memoria: al livello cellulare la memoria nei neuroni è espressa da LTP e LTD, al livello dei sistemi neuronici dalla formazione di nuove sinapsi e dall’insieme dei cambiamenti sinaptici conservati quale traccia di un’esperienza, e così via. In realtà, in un organismo, ogni livello di osservazione implica quelli più elementari e, dunque, una memoria d’organo che comporta, ad esempio, la sua ipertrofia, ha componenti cellulari e molecolari, ma presenta anche un tratto tipico del livello organico.

Il livello di sistemi e circuiti di cellule nervose del cervello, che implica la stretta interrelazione fra attività neurale, richiesta energetica e flusso ematico già intuita da Roy e Sherrington nel 1890, ha una componente di assoluta importanza nel contributo gliale. Dall’attività delle reti astrocitarie in concomitanza con quelle neuroniche al concetto di sinapsi tripartita, il ruolo della glia nel sistema nervoso centrale, così come quello della mielina nel periferico, sono ormai un oggetto di studio imprescindibile per una reale comprensione della neurofisiologia.

La mielinizzazione dipendente dall’esperienza è un’evidenza accertata da tempo, ma i suoi meccanismi e la sua reale incidenza sul comportamento che deriva dalla formazione di nuove memorie non sono ancora bene conosciuti. Simon Pan e colleghi hanno impiegato un paradigma di memoria per la paura contestuale nei topi, per studiare quanto accadeva per effetto dell’apprendimento nella corteccia cerebrale, ossia nella principale sede per il consolidamento delle memorie comportamentali.

L’osservazione sperimentale ha consentito di rilevare che l’apprendimento della paura determina, nella corteccia prefrontale mediale, la proliferazione e la differenziazione di precursori cellulari degli oligodendrociti che si trasformano in cellule oligodendrogliali mature in grado di sintetizzare nuova mielina.

Gli esperimenti con animali transgenici incapaci di formare nuova mielina hanno dimostrato un deficit di rievocazione della paura associata ad una memoria passata, ma una normale evocazione della paura associata a un’esperienza recente.

Registrando la dinamica del Ca2+ mediante FP (fiber photometry) in popolazioni cellulari, Pan e colleghi hanno rilevato che la risposta neuronica agli stimoli condizionati di contesto evolve nel tempo, nella corteccia prefrontale mediale, nei topi normodotati, ma non in quelli transgenici, privi della possibilità di generare nuova mielina. Infine, l’induzione farmacologica alla sintesi di nuovo rivestimento oligodendrogliale mediante clemastina fumarato è apparsa in grado di migliorare il recupero delle memorie lontane e consentire la generalizzazione della paura.

Nel complesso, la sperimentazione ha dimostrato che la manipolazione bidirezionale della plasticità della mielina interessa funzionalmente il comportamento e la neurofisiologia. Tali esiti suggeriscono che l’attività neurale durante l’apprendimento della paura istruisce la formazione di nuova mielina, che a sua volta supporta il consolidamento e/o la rievocazione della paura associata a memorie passate.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-15 febbraio 2020

www.brainmindlife.org

 

 

 

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